Rivoluzione digitale digital tax in Italia
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Rivoluzione digitale e digital tax in Italia

Rivoluzione digitale e digital tax: è il momento di parlarne!

Rivoluzione digitale in Italia?

Troppo lenta.

Su 28 paesi europei siamo al 25mo posto per quanto riguarda la rivoluzione digitale. Mentre siamo avanti sulla web tax o digital tax (vedi dopo).

Il mercato digitale è in grandissima espansione e la rivoluzione digitale nel marketing ci coinvolge tutti, sempre di più.

Comprate su Amazon e non solo su Amazon?

Non serve la risposta: se ancora non lo fate è perchè non ci avete ancora provato. Tempi di consegna a casa velocissimi, spese di spedizione zero (con taluni programmi facilmente accessibili) e soprattutto prezzi più bassi!

Nelle banche, negli uffici pubblici e privati, è un via vai di corrieri che consegnano, sul luogo di lavoro, oggetti acquistati on line, per lo più su Amazon.

Prendiamone atto, questo fa parte della rivoluzione digitale, oltre a tutto il resto che ha riguardato per l’appunto il digitale ed il web. Dalle transazioni on line alle banche on line alla immediatezza che il web ci offre con i suoi servizi.

E in In Italia?

Mentre il web all’estero “corre”, da noi le connessioni internet sono lente, solo a pagamento, senza investimenti al riguardo.
La pubblica amministrazione lavora ancora con la carta, la penna ed i fascicoli impolverati. Pochi i computer e non adeguati all’utenza privata.

Non c’è da stupirsi se il PIL è fermo e la crescita economica è la più bassa d’Europa

Lasciamo fuori la Pandemia, che ha generato PIL negativo, consideriamola una parentesi.

I soldi girano, ma non vanno nel digitale, in questo settore determinante, e prendono tutta un’altra strada.

Negli anni 70 non tutti gli Italiani avevano il telefono in casa, mentre oggi ciascuno dispone di uno smartphone connesso con la rete e quindi potenzialmente con il mondo intero.

Siamo immersi in un processo di cambiamento così veloce che non riusciamo a cogliere alcuni aspetti fondamentali.

Adolescenti e giovani sono già all’avanguardia e vivono in connessione tra di loro. Grazie a social e app, hanno una frequenza di comunicazione impressionante. Condividono filmati, foto, audio, messaggi, pensieri, considerazioni, tra di loro o in gruppi articolati.

Già questo accentua l’enorme differenza con le precedenti generazioni.

rivoluzione digitale e digital tax

Ma anche le vecchie generazioni si stanno adeguando.


Essere interconnessi porta a condividere pensieri e sentimenti in tempo reale e senza filtri.

Ciò cambia praticamente tutto il modo di comunicare.

Mette in secondo piano gli organi ufficiali di informazione, che non sono il massimo della trasparenza, anzi direi proprio il contrario.

La realtà dei giovani è esperienza vissuta sui social mentre l’osservazione reale degli eventi scarseggia.  

Un concetto che si è diffuso è quello che tutto sia più “liquido”.
Avete mai sentito parlare della musica liquida?
E’ la musica registrata su supporti senza limiti fisici, dove le frequenze possono essere quelle reali non quelle compresse che trovi nei cd o nei file mp3. Possono essere registrate le frequenze originali, quelle della musica “live”:

“gli strumenti li percepisci davanti a te e l’ascolto è tutta un’altra cosa”. 

Tutto è espandibile all’infinito e non ha più vincoli e confini, come sul web. I limiti spariscono.

Il fenomeno che si è diffuso, partendo dalle nuove generazioni, è quello di dare maggiore importanza ad “usare” anziché a “possedere”.

È la Sharing economyuso condiviso e consumo collaborativo.

 

La rivoluzione digitale va dal possesso all’accesso

Questo è il vero tema che differenzia  le generazioni. 

Tutte le moderne applicazioni portano avanti il concetto di utilizzo, che è contrapposto a quello di possesso.

Tutti i nuovi colossi digitali puntano sull’uso, non posseggono strutture fisiche.  Non le ha Facebook, Google, Netflix e tutte le altre innovative Company del web.

Oggi su internet si può trovare tutto, dall’uso all’esperienza, rendendo superfluo l’acquisto del bene fisico.

Se le nuove generazioni ragionano così, le aziende che vendono ed offrono servizi cosa devono fare?
Come si possono adeguare?

La maggioranza delle multinazionali e delle imprese sono ancora indietro rispetto a questo tipo di mentalità, specialmente in Italia.

Vediamo perché:

I consumi, nella storia umana, hanno attraversato 5 fasi:

1) prima le aziende producevano commodities (materie prime)

2) poi prodotti più complessi (elettrodomestici, automobili,ecc.)

3) poi si è affermato il marchio, il brand

Nel caso dell’affermazione del brand, il bisogno umano è stato dirottato non sul prodotto generico, ma su quel prodotto specifico, che diventa un “cult“.
Non una borsa in generale, ma “quella borsa”, di “quella marca”.
Il brand è l’insieme di tutte le ragioni che ci fanno scegliere quell’articolo cult, invece di un’altro.
E il prezzo elevato incorpora il valore del brand. Alcune aziende importanti capitalizzano, con il valore del marchio, il 90% del loro intero valore mentre con il prodotto solo il 10% (è il caso di Hermes)

4) poi la fase dei servizi, che vengono creati nel momento stesso in cui li vendi. Sono quindi virtuali, non c’è magazzino.

5) adesso l’experience: vivere e far vivere una storia alle persone.
Si comprano, e quindi si vendono,  storie, emozioni, sensazioni, percorsi, idee, conoscenza.

Molti vedono l’uomo del domani dotato semplicemente di un reddito e senza possesso di beni

Si farà tutto attraverso la rete, prendendo ciò che serve in sharing o renting. Senza doverlo acquistare.

Denaro virtuale, servizi virtuali, criptovalute, tutto a disposizione on line.

Questa è la rivoluzione internet, la vera rivoluzione digitale!

E i canali tradizionali, che oggi devono necessariamente affiancarsi a quelli virtuali, andranno via via perdendo la loro importanza.
Tutti i colossi del web stanno investendo sulla realtà virtuale e su quella aumentata proprio perché stiamo andando in quella direzione. Ed investono sul banking (ma di questo parleremo in altra sede vista l’importanza del fenomeno).

E allora uffici, banche, imprese che lavorano sul tradizionale, se non cambiano alla svelta, sono destinate ad essere superate.

Molte aziende leader del recente passato oggi non ci sono più!
Resistono solo quelle che mutano il proprio atteggiamento e si rinnovano in base al mercato.

Ma quanti sono i manager aziendali che sono sintonizzati su questo processo inarrestabile?

Digital tax tema da affrontare

Credo che il mercato sia più che maturo, cresciuto in modo selvaggio, per affrontare il tema della web tax.

Stratosferici fatturati non tassati per i colossi del web.

Esigui fatturati supertassati (fino al 70%) per le povere imprese italiane.

Non vi sembra inverosimile?

Oggi un negozio di abbigliamento che vende i propri prodotti (vestiti, scarpe, accessori) deve pagare una assurda tassazione sugli utili. In più ha spese di personale, negozio, bollette, tasse locali, insegne, ecc.).

Mentre una impresa di E-commerce o di vendita on line non paga nulla o quasi.

Ovvio che il prezzo del bene sia minore!

Certamente tutti noi preferiamo comprare su Amazon e su tutti gli altri store on line piuttosto che in un negozio tradizionale.

Andiamo a provarci i capi e le scarpe da quel povero negoziante facendogli perdere tempo ed illudendolo che realizzerà una vendita. Ma poi appena usciti ordiniamo su Amazon!

Ecco, in questo mio esempio c’è tutta la crisi del commercio tradizionale.

C’è tutta l’assurdità di una mancata o troppo esigua tassazione che non colpisce le imprese del web e tantomeno i colossi ed i social.

Ovviamente il web non è locale o regionale o nazionale. Esso è mondiale. Ed è difficile applicare le tasse in tutti i paesi del mondo in cui opera quel competitor.

Oggi le tasse, questi colossi, preferiscono pagarle in paesi dove ci sono agevolazioni fiscali e la tassazione ha una aliquota minima.

Ma poi vengono a vendere nei nostri mercati, mettendo in crisi di fallimento tutte le attività.

Anch’io come tutti compro on line. E’ troppo comodo e troppo conveniente per non farlo!

Ma a questo problema devono porre rimedio gli Stati e le comunità internazionali a meno di assistere impotenti alla sparizione degli esercizi commerciali tradizionali a scapito di quelli on line.

Impoverimento delle aziende nazionali

E poi c’è l’impoverimento nazionale. Cos’è?

Muore un negozio italiano in cui il fatturato andava ad una famiglia italiana e prospera una azienda del web straniera. Gli utili di quelle vendite andranno all’estero.

La parte del lupo la fanno gli Usa visto che le maggiori imprese digitali  (i colossi) sono americani e vengono dalla Silicon Valley. Ovviamente chi si oppone alla digital tax durante le riunioni internazionali del G20 (forum dei 20 paesi più industrializzati del mondo) è il presidente americano Donald Trump.

Il quale cerca ovviamente di tutelare le imprese digitali del suo paese a scapito delle imprese tradizionali dei paesi concorrenti.

La soluzione non può essere che quella che prescrive alle multinazionali del digitale di pagare le imposte nei Paesi dove creano un profitto.

Nei paesi dove effettuano la vendita del bene o del servizio.

Il principio è molto semplice:

“se compro in Italia una lavatrice o un libro o un trapano, sdraiato sul mio divano sulla piattaforma Amazon, se mi abbono a Netflix o faccio pubblicità su Facebook, su questi ricavi le aziende che ho citato dovranno pagare le tasse in Italia, esattamente come le pagherebbe il negozio di elettrodomestici o la libreria o il ferramenta cotto casa.

Chiaro no?

Il fatturato prodotto in Italia si dice che ammonti a oltre due miliardi e mezzo di euro l’anno, a fronte del versamento al fisco di tasse per circa 60 milioni SOLTANTO!

Vediamo cosa si sta facendo:

La Web Tax nell’Unione Europea

Nel 2018 la Commissione europea ha previsto la web tax sui ricavi, da pagarsi nel paese in cui si realizzano i profitti.

Queste imprese infatti realizzano ricavi anche dove non sono presenti, visto che il web è trasversale ai territori.

Come si individua per la normativa Europea se l’azienda digitale è tassabile in quel paese?

-quando ha 7 mil di fatturato annuo in quello stato membro
-se ha più di 100.000 utenti registrati
-nel caso abbia più di 3.000 contratti ad utenti business

I progressi sulla web tax sono lenti visto che alcuni paesi europei pongono ostruzione all’accordo.

E lo fanno perché sono quelli che maggiormente beneficiano di una bassa imposizione fiscale (Olanda, Danimarca, Svezia e Finlandia).

Mentre noi e gli altri paesi la pensiamo diversamente.

La digital tax italiana al 3%

Si è decisa una soluzione indipendente dall’Europa, in attesa di una tassa europea che metta tutti d’accordo. Non si può nel frattempo non tassare questi colossi, anche se come detto prima riteniamo davvero esigua la tassazione.

Il meccanismo lascia fuori alcune imprese digitali come le banche, le società telefoniche, le tv e i giornali.

L’orizzonte è complesso ed è bene fare delle distinzioni.

E’ una digital tax direttamente esecutiva senza bisogno dei decreti attuativi.

Prevede un’aliquota del 3% sull’ammontare dei ricavi tassabili conseguiti nel corso dell’anno solare. Il Governo Gentiloni approvò una tassazione al 6% mai entrata in vigore per mancanza dei decreti attuativi che la rendeva inapplicabile (tutto rimase sulla carta come spesso avviene: si fanno gli annunci e non si procede nell’attuazione delle leggi).

La nuova tassazione sulle imprese digitali (digital tax)

L’aliquota del 3% di imposte è applicabile sui soggetti passivi che, singolarmente o a livello di gruppo, nell’anno solare precedente realizzano:

-almeno 750 milioni di euro di fatturato;
-fatturato da servizi digitali nel territorio non inferiore a 5,5 milioni di euro;

E’ sicuramente qualcosa, ma mi sembra davvero poco, non credete?

Con questa web tax, dal prossimo anno quei 60 milioni citati prima dovrebbero diventare almeno 700 milioni (3% su 2,5 mld di fatturato).

Sembra un contentino, ma almeno si inizia un processo di equa tassazione. 

Certo il provvedimento non rende ancora giustizia  alle aziende nazionali. Ma è un inizio!

E’ bene che l’ingiusto, iniquo ed inefficiente fisco nazionale lasci il posto a riforme più serie e moderne visto che oggi il concetto di locale è superato da transazioni ed operazioni che avvengono a livello globale.

Ed è giusto che anche le tasse colpiscano, con criteri di equità, tutti i competitor beneficiando i paesi in cui si realizza il diretto intervento del business commerciale.

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