Fallimenti banche

Fallimenti banche: come valutare le banche sicure

Fallimenti banche italiane: abbiamo creato questa guida per individuare con facilità quali sono le banche in buona salute, quali sono le banche in difficoltà, le banche non sicure e quali banche sono fallite in Italia o sono a rischio di fallimento.

La prima stesura di questa guida risale al 2017 e da allora la abbiamo aggiornata ripetutamente riclassificando quelle banche che avevamo individuato come non sicure o in difficoltà, tra quelle fallite o acquisite a costo zero da altre banche più solide.

I segnali erano quelli degli stress test europei (vedi dopo), delle voci interne agli Istituti, delle situazioni emergenti dai bilanci, dalla solidità patrimoniale e dalla capacità manageriale degli amministratori.

Tutto queso è successo con le prime 3 (Banca Marche, Banca Etruria, Carichieti, Cariferrara) ed è poi continuato con le 2 banche di Vicenza (Popolare di Vicenza e Veneto Banca) e via via con le 3 banche integrate in altre (Cassa Risparmio di Rimini, Caricesena, Cassa Risp. S.Miniato), per passare dalla Popolare di Bari al Creval e Credito Artigiano, alla Carige, e via via così. Sono tantissimi gli istituti falliti o in difficoltà.

Non dimenticando i vari segnali negativi annunciati sul Monte Paschi di Siena, che dopo essere stata tecnicamente fallita e statalizzata, ancora cerca un valido acquirente per il risanamento.

E sicuramente questo viaggio tra difficoltà e fallimenti non solo non è finito, ma si arricchirà di nuove operazioni di acquisizioni e di salvataggi, in procinto di arrivare.

Molte sono le banche che presentano preoccupanti criticità.

In questa guida complessa cercheremo di far comprendere perchè tutto questo succede e perchè le banche, istituzioni una volta ritenute non fallibili, saltano così facilmente nel nostro sistema bancario. Ma succede anche negli altri Stati, non solo da noi.

In questa guida individueremo 11 criteri per determinare le banche più sicure (parleremo di fallimenti banche).

Questo può rassicurarci in un momento di grande difficoltà del settore bancario Italiano. Da alcuni anni oramai non c’è chiarezza nel settore, anzi possiamo affermare che non c’è mai stata chiarezza.

Attenzione quindi a dove depositiamo i nostri soldi. Meglio metterli al sicuro e senza rischi.

Introduzione

In questo momento storico di fallimenti banche che va avanti dal 2016, ma risale strutturalmente alla crisi del 2007/2008, in cui molte banche sono andate in default, perché i giornali, la Banca d’Italia ed il Governo continuavano a dire che tutto andava bene?

E perchè invece non ci hanno mai realmente informati di quali banche potevamo fidarci e da quali banche stare lontani?

L’argomento è delicato e non c’è stata chiarezza da parte di nessun organo ufficiale.

A sentire politici e banchieri, e di conseguenza le asservite testate giornalistiche e dei media, le banche italiane erano e sono solide, lo dicono da anni. Non ci sono pericoli.

La cronaca, di tutti questi anni e anche di questi giorni, ci dice esattamente il contrario: alcune sono fallite, altre sono state salvate e su altre ancora, invece, si tace…e sono prossime al default.

Non si fanno però i conti con gli addetti ai lavori, che come me conoscono lo stato di difficoltà in cui versano molte banche italiane, anche blasonate.

Facciamo un breve riepilogo.

Quali banche sono fallite (o quasi) in Italia  e quali banche sono sicure ?

Un vecchio consiglio:

“Non lasciare che i tuoi soldi vengano gestiti da chi non ha saputo gestire i propri ed ha condotto il proprio istituto al fallimento”.

Nella nostra analisi ci basiamo su varie fonti: giornalistiche, economiche, di settore, osservazione delle fonti internazionali, studio di notizie e soprattutto “soffiate” interne al settore bancario.

Le notizie interne al settore bancario sono le più importanti perché provengono dall’ambiente finanziario e, soprattutto, dai nostri colleghi che lavorano all’interno delle banche interessate.

E tra addetti ai lavori si parla, le cose si vengono a sapere.

Ci sono segnali che possono essere colti e che sono inequivocabili…

Fallimenti banche

Primo elemento ormai storico

In tutto il mondo, dopo il 2007 (data che segnò il fallimento della Lehman Brothers’), molte banche sono state salvate con i soldi dello Stato e quindi dei cittadini.

È successo negli USA, in Germania, in Europa… un pò ovunque.

Tranne che in Italia. Almeno fino al primo caso Monte Paschi di Siena risalente al Governo Monti dove furono iniettati miliardi nella banca, per salvarla. Ma tutto in sordina.

In Italia, nonostante questi segnali ben noti, nessun fallimento eclatante era ancora avvenuto e sembrava non dovesse avvenire mai, a sentire le enfatiche dichiarazioni di governanti e banchieri, rilasciate con spavalderia.

Secondo elemento

Dal 1 gennaio 2016 è entrata in vigore la legge sul “Bail in”:

“è possibile (in situazioni di criticità) realizzare prelievi forzosi sui depositi superiori ai 100.000 euro (200.000 euro se cointestati) anche dei correntisti privati”.

Quindi possono essere coinvolti anche i clienti comuni (ed è già successo, ad esempio nelle banche di Cipro).

Per troppi anni ci hanno detto che il nostro sistema era solido e che non si correvano rischi.

E lo dicevano all’Abi, in Banca d’Italia, al Governo…alcuni giornali…

Fallimenti banche (già tecnicamente avvenuti)

Sarebbe opportuno ricordare le banche italiane fallite.

Fallimento 4 banche italiane: Cassa di risparmio di Chieti, Cassa di risparmio di Ferrara, Banca delle Marche e Banca Etruria.

Altre banche (ben più grandi) sono state sull’orlo del default (Monte Paschi, Carige, Unicredit), altre salvate dal fallimento tecnico (Popolare di Vicenza, Veneto Banca, Cassa risparmio Rimini, Cassa Risparmio ci Cesena, Cassa S.Miniato…e potremmo continuare…).

A proposito di fallimenti banche, la situazione della Carige, mai risolta e portata avanti per anni, è giunta al capolinea: siamo sull’orlo di un default e quindi di una spintanea integrazione, dopo che è anche intervenuto il Governo a mettere un argine con un decreto di urgenza.

Quando uso il termine “spintanea integrazione” intendo che ad un istituto solido viene ordinato da Banca d’Italia e da BCE di integrare un altro istituto fallito o in difficoltà.

Nella vicenda delle prime 4 banche pienamente fallite sono rimasti coinvolti 130.000 risparmiatori che hanno perso circa 430 milioni di euro complessivi, senza alcun risarcimento o comunque con risarcimenti parziali.

Le 4 banche fallite hanno prodotto un “buco” di circa 5 miliardi di euro (cit. sole 24h del 3.3.2017) e sono state salvate per decreto governativo.

I soldi del salvataggio sono stati presi attingendo al Fondo interbancario di risoluzione, quindi dalle altre banche del sistema, che si sono ulteriormente indebolite.

Il Monte Paschi, le 2 banche Venete poi integrate in Banca Intesa, direttamente o indirettamente hanno preso soldi dai cittadini.

Terzo elemento

Il caso Monte dei Paschi di Siena, che andava avanti dall’epoca del Governo di Mario Monti con elargizioni più o meno dichiarate, era diventato insostenibile.

Tanto che per evitare il fallimento della grande banca senese, senza far operare il Bail in, lo Stato è intervenuto con 5 mld (poi portati a 8,8 mld dalla Banca Centrale Europea), prelevandoli dal denaro dei contribuenti.

Il Governo ha effettuato uno stanziamento di 20 mld di euro a dicembre 2016 (Governo Gentiloni) per prepararsi al salvataggio del Monte Paschi e di altre banche, senza dire quali.

Successivamente, dopo una contorta vicenda, 6,4 mld circa sono serviti per salvare dal fallimento la Banca Popolare di Vicenza e la Veneto Banca, regalate a Banca Intesa al simbolico prezzo di 1 euro, oltre a tanti altri benefit (scivolo per il personale anche di Banca Intesa e non solo delle 2 banche acquisite, sportelli, masse, liquidità e risparmio gestito regalati e tolti alla concorrenza).

Fallimenti banche minori: Cassa risparmio di Rimini, Cassa risparmio di Cesena, Cassa risparmio di S.Miniato, sono state acquisite dal Gruppo Credit Agricole – Cariparma, in quanto sull’orlo del fallimento e tecnicamente già fallite.

Poi Popolare di Bari, Carige…e piccole altre banche dei vari territori.

Perché, allora, si continua a dire ancora oggi che è tutto a posto e che le banche italiane sono solide?

Se poi ogni tanto dal cilindro esce fuori qualche nuova banca in difficoltà?

Quarto elemento

Prima della crisi del 2007, non si parlava di fallimenti banche, le quali erano un mondo chiuso, controllato solo dal regolatore ufficiale, la Banca d’Italia.

Quest’ultima, in realtà, è posseduta dalle stesse banche, in quanto la sua compagine sociale è formata dalle principali banche italiane pro quota, anche se è da considerarsi un organismo che ha una funzione pubblica.

La Banca d’Italia, a differenza di quello che la maggioranza dei cittadini è stata indotta a credere, non è assolutamente un pieno organo di Stato o Governativo. Se nella sua compagine sociale ci sono le altre principali banche del sistema (private) questo significherà pure qualcosa ed avrà delle conseguenze.

Pur avendo una funzione pubblica non può non subire le influenze degli azionisti, come dimostrato in passato da alcuni scandali riguardanti i Governatori e gli alti dirigenti della Banca d’Italia (ricordate la Banca Popolare di Lodi ed il Governatore dell’epoca?)

In Italia fino a pochi anni fa si combinavano ogni tipo di affari.

Tra politica, faccendieri, banche del Vaticano, affaristi “ammanicati”, Massoneria, e chi più ne ha più ne metta…

Diciamo pure che l’Italia non è sempre stata teatro di vicende “trasparenti” (basta andare a vedere la storia degli ultimi decenni).

Ma cosa succedeva?

Fallimenti banche: quando una banca era tecnicamente fallita, la Banca d’Italia interveniva e costringeva un istituto più solido ad incorporare la banca in difficoltà.

E tutto veniva riassorbito nel sistema, il problema era letteralmente “annacquato” e non se ne sapeva più nulla.

Lo scandalo veniva messo a tacere.

Ma erano anni di “vacche grasse” e si poteva ancora fare.

Per decenni abbiamo assistito a fusioni, integrazioni, incorporazioni forzate, e così via, anche per coprire le malefatte dei banchieri e dei politici.

Sono spariti marchi di banche storici, centenari. Mi vengono in mente le banche romane (Cassa risparmio di Roma, Banco di S.Spirito, poi confluite nella Banca di Roma poi confluita in Unicredit e via così) e poi la Banca Popolare di Lodi, La Banca Italease, e veramente tante e tante altre che in questo momento sfuggono alla mia memoria ma che erano banche storiche di territorio.

Quinto elemento

A seguito della crisi del 2007 si è dovuto mettere un argine al fenomeno: finalmente la BCE (Banca Centrale Europea) è entrata a gamba tesa direttamente sulle banche del sistema europeo ed italiano.

Immaginate cosa è successo?

Immediatamente tutte le criticità sono venute a galla, così come “gli scheletri tenuti negli armadi”!

Prima la Banca d’Italia non vedeva.

Adesso la BCE vede, eccome!

Le principali banche europee subiscono spesso le visite degli ispettori della BCE, che vanno a controllare tutto in profondità e non perdonano niente.

Per esperienza personale (ho partecipato ad una ispezione) vi dico che gli ispettori BCE si insediano presso la sede centrale di una banca e richiedono in esame delle posizioni a campione, controllano tutto: parametri di concessione del credito, struttura organizzativa, gerarchia e separazione dei settori commerciale e creditizio, attribuzione e controllo delle facoltà, compliance aziendale…

Insomma “fanno le pulci” alla banca ispezionata, letteralmente!

Poi ORDINANO i correttivi ed irrogano le eventuali sanzioni. E…danno termini brevi…per risolvere le problematiche riscontrate. Non fanno sconti a nessuno.

Con la Carige, cosa mai vista prima, hanno addirittura disposto il commissariamento della banca.

Dall’Europa!

Quindi il giochino è finito dopo il 2007. Chiaro?

In tema di fallimenti banche oggi, se una banca è al fallimento, deve dichiarare default o, in alternativa, può essere salvata solo a determinate condizioni.

E i clienti, questa è l’allarmante novità, rischiano i loro soldi direttamente (Bail in).

Dicevamo prima che lo Stato, a fine dicembre 2016, dovette stanziare 20 mld di euro per creare un fondo “salvabanche”.

Venti miliardi di euro, per chi non lo sapesse, sono all’incirca una legge finanziaria dello Stato, una montagna di soldi.

E poi sono stati integrati altri fondi e intervenuti altri organi di salvataggio, spesso con soldi delle stesse banche.

E moltissimi nostri soldi, dei privati cittadini, dei contribuenti, utilizzati per salvare il sistema.

Frutto di probabili (anzi sicure) tasse presenti e future per noi contribuenti.

Denaro tolto ai cittadini ed agli investimenti.

Ma qual è il vero problema delle banche italiane?

Cos’è che tecnicamente le mette a rischio, ne determina il default e fa paura a noi cittadini?

Il vero problema delle banche italiane, oltre alla cattiva gestione, alla crisi economica e alla crisi delle imprese, è il mancato rientro di prestiti e finanziamenti erogati.

Molti di questi sono stati concessi in modo superficiale o, peggio, con la connivenza degli amministratori delle stesse banche.

Il tutto in assenza di un’opportuna vigilanza degli organi preposti.

Tieni bene a mente questo: “i vertici di una banca, con una semplice firma (delibera), concedono affidamenti illimitati e possono condurre al fallimento il proprio istituto“.

Specialmente in assenza di controllo sul credito da parte di chi dovrebbe vigilare.

Oramai il danno è fatto

Con l’avvento delle rigide normative europee e con i cosiddetti “stress test” effettuati dalla Banca Centrale Europea su tutte le banche del sistema, tutti i nodi sono venuti al pettine.

I finanzieri italiani, coinvolti a pieno titolo nelle compagini politiche di partito e nelle banche, facevano gli affari con i soldi in prestito. Se tali affari andavano bene era tutto per loro il guadagno ed il merito. Se invece gli affari andavano male, “lasciavano il buco” alla banca. E alla fine hanno dovuto pagare spesso i contribuenti italiani.

Ci avevano promesso la pubblicazione degli elenchi di coloro che si erano prestati a questo gioco, creando direttamente e indirettamente non pochi disagi ai cittadini!

Questi elenchi sono stati subito messi sotto la cenere…

Infatti, se la banca fallisce paga lo Stato e quindi tutti noi o gli stessi correntisti (vedi Bail in).

Talvolta bastava una telefonata del segretario di questo o quel partito o di quel prelato per ottenere una lauta concessione di credito a questa o a quella azienda “raccomandata”.

Se le bocche dei funzionari delle banche a tutti i livelli fossero disposte a parlare, ne sapremmo delle belle!

Quante voragini hanno lasciato i partiti politici ed i loro esponenti mentre erano al potere!

Ne so qualcosa!

E quanti debiti non hanno pagato i finanzieri e gli imprenditori beneficiati di fidi “facili” e senza garanzie!

Questi “crediti a sofferenza” che non verranno più restituiti, si chiamano NPL (Non Performing Loans).

Per le banche italiane, si è parlato di 350 mld dichiarati di NPL!

Attenzione però: quelli dichiarati sono 350 mld, e quelli non dichiarati quanti sono ?

Ma cosa sono gli NPL (Non Performing Loans)?

Sono quei crediti decotti di cui parlavamo prima, che vengono ceduti a stralcio ad appositi veicoli finanziari (società o fondi chiamati bad bank) che tenteranno il recupero, ove possibile.

E qui scatta l’altro business!

Molto ma molto fiorente!

Chi li compra potrà speculare e realizzare grandi utili.

Ad esempio, compro al 20% i crediti deteriorati, riesco a recuperarne il 40%, realizzo un guadagno netto del 20%.

È un bel business che si è profilato in Italia.

Su cui stanno intervenendo molti Fondi internazionali a suon di milioni di euro: comprano a poco e ci guadagnano moltissimo!

Il business è elementare: si compra a poco e si lucra un bel differenziale, senza rischio.

Si guadagna moltissimo!

Chi ci sarà dietro questo business?

Riflettiamo insieme.

Da un lato, con il sistema dei NPL si generano perdite di bilancio che contribuiscono ad affondare la banca in questione (che magari dovrà essere salvata con i soldi dello Stato).

Dall’altro, grazie al meccanismo di recupero, si crea un sistema con cui si realizzano elevati guadagni.

E questi guadagni non vanno alla banca in difficoltà (come sarebbe giusto), ma a vantaggio di pochi soggetti “esterni”.

Politici? Banchieri? Lobbies? Fondi?

Esatto!

Cosa succede

Oltre alle banche fallite, svendute e rilevate a pochi spiccioli, migliaia di clienti ci hanno già rimesso i loro risparmi.

Altri cittadini rischiano i loro soldi.

Noi contribuenti per salvare il sistema ci abbiamo rimesso una valanga di miliardi.

Alcuni istituti blasonati hanno dovuto fare aumenti di capitale giganteschi per salvarsi (vedi Unicredit), altri hanno riverniciato i bilanci, ma le magagne non si cancellano…

Il vero indicatore di rischio

Nel settore bancario la reputazione è un aspetto fondamentale.

Se si diffonde la voce che la banca è in crisi o peggio in default, ci saranno fuoriuscite di capitali che minano alla base la linfa vitale di un istituto di credito: la liquidità.

Nessuno in banca oggi vi parla di liquidità, ci si chiude in un riserbo pericoloso.

Annunciare di essere in difficoltà o di avere poca liquidità, può causare un’emorragia ulteriore di liquidità.

I clienti infatti, intimoriti dai rumors, trasferiscono i loro soldi verso altri istituti in salute e ciò può affondare definitivamente le banche a rischio.

In poco tempo sono trasmigrati sul mercato, da banche a rischio a banche più sane, oltre 70 mld di euro (e tale dato è puramente indicativo, visto che nell’ambiente le informazioni non trapelano).

Una banca si sostiene sulla liquidità e se i clienti gliela portano via non può più andare avanti.

Anche perché sul mercato interbancario, le banche sono diffidenti tra di loro e non si prestano più il denaro, quindi l’unica soluzione è chiedere ai correntisti e agli investitori.

Come scegliere una banca sicura

Le banche sembravano tutte uguali. Stessa estetica, stessa struttura, marchio differente.

Fino a poco tempo fa chi si era mai preoccupato della solidità delle banche?

Tutti pensavano fosse impossibile che fallissero.

Sarebbe intervenuto il Governo o la Banca d’Italia…il cittadino comune pensava…

Oggi invece è diverso.

Dopo tutto quello che sta succedendo, i cittadini si preoccupano perché possono essere chiamati a pagare se la loro banca fallisce. Con il Bail in.

In questo momento, qualche risparmiatore italiano sta rischiando seriamente, ma magari non se ne rende neanche conto!

Quali sono i sistemi sicuri per valutare una banca?

Sistemi che possiamo utilizzare direttamente noi cittadini, senza fidarci di quello che dicono gli organi di Governo e la stampa ufficiale?

Un ex capo del Governo consigliava di investire in azioni del Monte Paschi di Siena poco prima che fallisse tecnicamente, lo ricordate?

Il Governo e i banchieri hanno continuato a sostenere che le banche italiane sono solide e non ci sono rischi!

D’altra parte cosa ci aspettiamo che dicano?

Se scatta il panico e tutti corrono a prelevare, i soldi non ci sono!

Approfondisci questa mia affermazione andando a vedere cosa è la riserva frazionaria delle banche.

I fatti, esaminati attentamente, ci dicono che la situazione è delicata.

Poiché parliamo dei nostri soldi e dei nostri risparmi, vi consiglio caldamente di usare questi facili e gratuiti suggerimenti per valutare le banche a rischio.

Il consiglio è di non fidarsi di un solo elemento tra gli 11 enunciati che troverete qui sotto, ma di fare una media tra tutti i criteri di valutazione.

Sappiamo quanto le banche siano brave a modificare i loro bilanci per ben figurare di fronte al mercato.

Gli indici di bilancio ed i ratios vanno bene e sono un elemento di valutazione, ma non bastano!

Ecco gli 11 elementi per valutare una banca come sicura

Primo elemento: “stress test” della BCE.

Seguite il risultato degli stress test europei della Banca Centrale Europea sulle nostre banche negli ultimi tre anni/quattro anni.

Anche se qualche banca ha oggi rimesso in sesto i suoi numeri (reali o artefatti che siano), se non aveva passato i test in uno di questi tre anni/quattro anni, qualche problema c’era e quasi sicuramente è rimasto…

Le banche sono maestre nel ben figurare quando ce n’è bisogno, a spostare nel modo giusto i numeri di bilancio e ad annunciare piani industriali allettanti per le piazze finanziarie.

Ad esempio, gli stress test del 2014 bocciarono 9 banche italiane su 25.

Nel 2016 il Monte Paschi Siena fu dichiarata la banca peggiore agli stress test.

Tra gli Istituti che hanno avuto le maggiori criticità sugli stress test ci sono state, oltre a Monte Paschi Siena, Banca Popolare Vicenza, Veneto Banca e Carige (Cassa risparmio di Genova).

Guarda un pò…

Occhio alla Carige (sui giornali in questi giorni), abbiamo cominciato a segnalare dei rischi già quattro anni fa, senza essere dei veggenti.

Secondo elemento: verificate il CET 1.

Il CET 1 (Common Equity Tier 1) è un indicatore che fornisce il rapporto tra il patrimonio netto della banca e i rischi assunti.

È consultabile facilmente perché è pubblicato da ogni istituto e potete trovare tabelle e classifiche sul web.

Le regole europee fissano il tetto minimo all’8%. Sotto questo tetto, la banca è a forte rischio, sotto il nove è ancora considerata insufficiente. Sopra il 9%, si comincia a ragionare.

Significa che ogni istituto può fare investimenti superiori a circa 10 volte il proprio capitale.

Tuttavia, fidandoci poco delle classifiche ufficiali, abbiamo riscontrato che questo criterio è per lo più affidabile.

Tuttavia, alcune banche a rischio hanno un CET 1 superiore all’11%: questo parametro da solo, quindi, non basta a fornire delle certezze, va integrato con gli altri parametri, ma comunque è indicativo.

Terzo elemento: il rating

Viene stabilito dalle società specializzate come Standard and Poor’s, Moody’s, Fitch.

Queste società di rating, non certo immuni nel passato da errori eclatanti come sul caso Lehman Brothers’ (dove sbagliarono in pieno la valutazione), sono oggi più attente a giudicare dati oggettivi.

Il rating è oramai un giudizio che viene attribuito a tutte le entità, compresi gli Stati sovrani e quindi ha un certo valore di solidità ed affidabilità.

Anche il rating di una banca è facilmente reperibile in quanto pubblicato sul web e sui giornali.

Quarto elemento: distinguiamo chiaramente tra banche on line e banche tradizionali.

Il parametro di giudizio è diverso dal momento che si tratta di due mondi diversi.

Vediamo perché.

Le banche tradizionali hanno gli sportelli, le spese per i dipendenti, i probabili esuberi di personale e soprattutto concedono il credito.

E i maggiori problemi vengono proprio dal credito. Sono istituti bancari a 360 gradi.

Le banche on line (sono spesso reti bancarie di promotori oppure Fintech) non hanno sportelli, hanno un sito, un call center, qualche promotore e non fanno credito tradizionale. Hanno dunque pochi costi di struttura.

Ovviamente, per questi motivi si presentano con dati migliori in termini di indici e di parametri.

Ma, proprio per questo, sono fragili, evanescenti, possono sparire da un momento all’altro o non risponderti più.

E tu, con chi te la vai a prendere?

Le banche tradizionali non possono scappare, si trovano sul territorio e questa è già una grande garanzia per il risparmiatore.

Dimenticavo un mio vecchio “pallino”…

Il consiglio che davo a tutti:

“vai a guardare sempre la ragione sociale delle banche on line, se riesci a trovarla. Quanto hanno di capitale sociale, di capitale versato e soprattutto quale forma societaria adottano e di quale paese sono!”

Incapperete in società cipriote, olandesi, maltesi, e quant’altro.

Considerate, inoltre, che in questi casi, le leggi sono diverse e anche il foro giuridico competente è diverso.

Potreste essere costretti a cercarvi un avvocato a Cipro o in Olanda e sostenere una causa laggiù, con scarsi risultati.

Le leggi, in Europa e nel mondo, sono completamente diverse e gli organi di vigilanza e gli Enti regolatori anche.

Quinto elemento: mercato dei tassi.

Altro importante elemento, solitamente sottovalutato, ma sicuramente il più infallibile:

Come si comporta la tua banca sul mercato dei tassi?

Qual è la proposta di quella banca in tema di tassi e di interessi offerti sui depositi dei clienti?

Attenzione a questo punto!

La crisi di una banca è quasi sempre una crisi di liquidità, che impatta direttamente sulla disponibilità di denaro nelle sue casse.

Se la liquidità scarseggia la banca ha 2 modi per approvvigionarsi:

1)Chiedendo soldi alle altre banche (sul mercato interbancario – al tasso euribor)

2)Chiedendo al mercato e, cioè, a noi clienti.

La prima strada – per le banche – da qualche anno non è più praticabile perché, se un istituto non è solido, nell’ambiente bancario è risaputo, e quindi nessuno gli presta denaro.

Le porte dell’interbancario sono chiuse e c’è grande diffidenza tra gli stessi istituti.

L’altro sistema è quello di chiedere soldi al mercato e cioè ai cittadini, ai correntisti, ai nuovi potenziali clienti (che sono spesso all’oscuro delle notizie riservate). Ed è più facile…

Ma come?

Offrendo tassi d’interesse fuori mercato.

Quanto vi offre la vostra banca?

Siete contenti perché vi corrisponde un tasso d’interesse elevato?

Bene, sappiate allora che, nella maggioranza dei casi, state rischiando.

I tassi euribor (mercato interbancario) oggi sono negativi, quindi il denaro costa meno di zero (vedi il nostro articolo su quanto costa il denaro oggi).

Se una banca vuole depositare la sua liquidità presso la Banca Centrale Europea deve pagare.

Si, deve pagare!

Deve pagare un tasso d’interesse negativo di circa 0,50%.

Chiediamoci:

perché le banche sono disposte a pagare per tenere i loro soldi in un luogo sicuro come la BCE, invece che metterli presso banche concorrenti (cioè prestarli ad altre banche) a tassi di interesse remunerati?

Ebbene questo è un empirico, ma ineluttabile sistema di giudizio.

Se la mia banca è reticente a offrirmi un tasso di interesse e magari mi offre zero o giù di lì, oppure mi fa addirittura pagare una commissione di deposito, vuoi dire che non ha bisogno del mio denaro, è liquida e quindi è solida.

Tasso di interesse basso, posso stare tranquillo. Sembra un paradosso, ma è così.

Ricordate sempre che la liquidità è un indicatore positivo, che mostra quanto la banca sia in salute.

Se invece mi offre un tasso fuori mercato (e il mercato dei tassi abbiamo detto che è negativo) allora occhio!

Se poi mi sollecita ad effettuare ulteriori versamenti (non parliamo qui di investimenti in fondi o titoli che sono un’altra cosa) sotto forma di depositi liquidi quali conto corrente, pronti termine, depositi a vista, certificati di deposito, obbligazioni della stessa banca, e così via, bene allora devo prestare ancora più attenzione!

È probabilmente in difficoltà ed ha bisogno dei miei soldi per pagare i conti e gli stipendi.

La crisi di una banca, come abbiamo già anticipato, si misura soprattutto con la scarsa liquidità.

Vi ricordate, in Grecia, la fila agli sportelli?

O, in altri paesi, la fila presso le banche per ritirare il denaro?

Partite dal presupposto che, con la riserva frazionaria, la banca può prestare tutto il denaro che vuole, non solo quello che ha in cassa.

Non esiste infatti materialmente, in deposito, tutto il denaro dei clienti.

Ce n’è solo una piccola parte.

Se i clienti, tutti insieme si recassero a ritirare il denaro, la banca chiuderebbe gli sportelli e andrebbe in default!

Sesto elemento: la reputazione.

Rappresenta un altro sistema di valutazione empirico.

Leggete i giornali o consultate il web: se il vostro istituto non viene mai citato in negativo, probabilmente è a posto. Sentite anche come se ne parla in termini di piani di sviluppo e fate attenzione a chi la gestisce.

Ricercate eventuali rumors negativi o notizie positive.

Vi farete una idea sulla salute della vostra banca.

Settimo elemento: rispetto del proprio piano industriale da parte della banca.

Consultate il piano industriale, il piano pluriennale della banca che state valutando.

Ne troverete ampia notizia su internet e sui giornali.

Controllate che il piano annunciato venga seguito e rispettato.

Controllate anche se i piani del passato sono stati rispettati.

Di balle se ne dicono molte: chi mente sui numeri e sui progetti ha qualcosa da nascondere.

Chi non rispetta i piani e gli impegni non è credibile, in questo settore.

Ottavo elemento: gestione del personale.

Guardate se la vostra banca ha esuberi di personale e se effettua un piano di esodo.

Il personale è il costo maggiore e mette in pericolo il conto economico.

I mega esodi non sono un buon segno, così come la chiusura di sportelli, anche se entrambi questi fattori rafforzano i conti di una banca.

Con l’era digitale gli sportelli sono sempre più vuoti e il personale da ricollocare costituisce un grosso peso economico.

Nono elemento: attenzione ai movimenti del mercato bancario.

Sul mercato bancario notate chi è che vende e chi è che compra.

Alcune banche sono costrette a vendere i propri asset o i propri gioielli di famiglia (proprio come avviene per le persone in difficoltà) e altre li comprano, semplicemente.

Chi compra asset, sportelli, società prodotto vuol dire che ha liquidità e, se spende, vuol dire che è in salute. Chi vende non lo è.

Semplice no?

Decimo elemento: tasso di modernizzazione e digitalizzazione della banca.

La vostra banca, nello scenario attuale, si sta modernizzando?

Sta investendo sul web e sulla digitalizzazione?

Segue un programma di customer satisfaction?

Ha delle applicazioni digitali -tipo Home Banking- efficienti e moderne?

Se la risposta è positiva e i progetti sono visibili e annunciati al mercato, ebbene gli amministratori sono focalizzati e quindi il giudizio è positivo.

Viceversa se è vetusta, antiquata, ancorata alla vecchia mentalità, a breve, statene certi, finirà male.

Oggi e nei prossimi mesi (non anni) non c’è posto sul mercato per le aziende che rimangono indietro sul digitale e sulla cura del cliente.

Fate un esperimento pratico

Fatevi un giro in 4 o 5 sportelli della vostra banca nella vostra città e respirate il clima interno.

Si capisce abbastanza facilmente se c’è aria di investimenti e di progresso o di mestizia e smobilizzo.

La faccia degli stessi dipendenti ed il loro modo di salutare e di gestire le vostre richieste vi darà una risposta al riguardo!

Se dentro respirate aria di vecchio, non notate innovazione, né un atteggiamento produttivo e proattivo del personale, e provate la sensazione di un’azienda che non si stia rinnovando nei modi e nelle strutture, ebbene cambiate istituto!

Se poi siete clienti di una banca minore o di un istituto locale, allora da lì non è ancora passato il ciclone europeo. È abbastanza difficile valutare.

In generale, le piccole banche hanno vita breve e, se non si integrano e non creano sinergie con le banche più grandi, sono destinate ad essere assorbite.

Essere in linea con gli stress test e con i controlli europei oggi è molto oneroso e dispendioso.

I piccoli non ce la possono fare.

Undicesimo elemento: aumento di capitale.

Lo leggiamo spesso sui giornali e non è sinonimo di salute.

“Aumento di capitale” significa chiedere al mercato dei risparmiatori denaro fresco per le proprie necessità finanziarie o per coprire buchi di bilancio.

E, se si verifica questo, vuol dire che mancano soldi e servono nuove risorse per far fronte al futuro.

Conclusioni

Ho cercato di semplificare al massimo…

E rendere alcuni concetti comprensibili, anche a chi non conosce il settore.

Ci sono riuscito?

Non so, lo spero…

Alla luce di queste 11 semplici considerazioni, sono convinto che pochi istituti si salverebbero dai vostri giudizi.

Vi riportiamo qualche riflessione su dei gruppi bancari che hanno alcune caratteristiche positive di cui abbiamo parlato e poche negative.

Gruppo Credit Agricole (ex Cariparma):

Uno dei più grandi al mondo ed il secondo in Europa. Ha i numeri a posto e ha investito sull’Italia, in un piano 2017/2020, 640 mld di euro. Un’enormità. Ha acquisito tempo fa, tramite la controllata AMUNDI, la società d’investimenti Pioneer dal gruppo Unicredit. Ha in progetto di modernizzarsi e puntare sul web. È un gruppo che compra e che ha acquisito tre banche (CARIM, CARICESENA,Cassa Risp. S.Miniato). Ha lanciato OPa su Creval (Credito Valtellinese-Credito Artigiano) e l’ha portata positivamente a termine. Ad Aprile 2022 integra le banche acquisite nel proprio marchio.

Ha altre acquisizioni nel mirino e molta liquidità di Gruppo disponibile. Vuole espandersi sul mercato italiano anche nelle zone in cui non è presente.

Gruppo BNP Paribas BNL:

anche questo è un gruppo francese tra i più grandi ed opera in Italia tramite la controllata BNL, ex banca di interesse nazionale, di grandi dimensioni. Anche qui il giudizio è positivo. Parliamo di un gruppo solido e ben strutturato, con un management preparato e progetti credibili.

Banca Intesa:

È la banca italiana più in salute tra le grandi. Deve modernizzare molto e risolvere il piano esuberi. È stata spesso la prima classificata sugli stress test. Il capitale è italiano e c’è molto da fare, ma le premesse sono positive. Ha praticamente fatto l’affare del secolo prendendosi a costo zero le 2 banche venete ed inserendo nel piano esuberi, circa 2.000 suoi dipendenti. Una bella operazione, prendendo per il collo uno Stato che era con l’acqua alla gola e non sapeva come uscirne. Complimenti!

Si è presa anche Ubi Banca (gruppo di Banche italiane che acquisì tre delle quattro banche fallite (Carichieti, Banca Marche, Banca Etruria) con l’impegno di risanarle.

UBI è stata acquisita (tramite OPA) da Banca Intesa.

Bper Banca Popolare Emilia Romagna:

ha acquistato ad 1 euro (simbolico) la Cassa Risparmio di Ferrara (la quarta banca tra quelle fallite che era rimasta senza acquirente). È una banca italiana ed è molto attiva sul tema acquisizioni di banche e gruppi di sportelli. Si è espansa notevolmente e molto ha ancora intenzione di fare sul mercato italiano.

Credem –  Credito Emiliano:

banca che fa capo alla famiglia Maramotti (Max Mara) e che ha sempre avuto una buona reputazione sul mercato. E’ un piccolo gioiello (almeno questo crediamo nel settore).

IL tema della solidità e dei fallimenti banche è, come avete visto se avete letto tutto l’articolo molto complesso e in continua evoluzione.

Il buco (dichiarato) delle banche italiane in fatto di Npl (Non Performing Loans) è difficilmente quantificabile visto che nei bilanci le voci sono spesso camuffate.

Nel settore, dopo le varie crisi, la crisi pandemica, la guerra in Ucraina, ect, c’è molta apprensione sul futuro.

Motivo in più rispetto a prima per tenere conto di queste nostre considerazioni e suggerimenti ed analizzare a fondo le controparti cui affidare il nostro denaro ed i nostri risparmi.

Quindi massima prudenza.

Se poi volete approfondire gli argomenti, seguiteci sul nostro sito “trainingfinanziario.com”.

Un saluto e… attenzione al vostro denaro!

Gianfranco Saro

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